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Può nascere un’economia dell’idrogeno anche in Italia?

Matteo Spairani, consulente finanziario

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Vediamo insieme la situazione italiana e quali sono le sfide da affrontare.

A che punto siamo

Sono sei le imprese italiane partecipanti al primo IPCEI sull’idrogeno che poco meno di 3 mesi fa ha ottenuto il via libera della Commissione Europea al finanziamento di 5,4 miliardi di aiuti pubblici, di cui oltre 1 miliardo destinati all’Italia, che come Paese ha presentato questo importante progetto di comune interesse europeo insieme con altri 14 Stati membri della UE.

Da Ansaldo a Fincantieri, Iveco Italia e Alstom Ferroviaria, fino a Enel e De Nora (in partnership con Snam) – a cui si aggiungono i due enti di ricerca Enea e Fondazione Bruno Kessler (FBK) –  hanno presentato investimenti in ricerca e innovazione ritenuti a livello europeo di elevata qualità e pertanto considerati meritevoli di essere finanziati con una quota maggiore rispetto a quella destinata ad altre imprese europee. In particolare, verrà realizzata una filiera della componentistica dedicata allo sviluppo di elettrolizzatori, celle combustibili, tecnologia per lo stoccaggio, trasmissione e distribuzione dell’idrogeno, fino agli elementi da utilizzare nel settore dei trasporti.

Questo progetto europeo – che attiverà anche 8,8 miliardi di euro di finanziamenti privati – rientra tra le principali iniziative promosse dal ministero dello Sviluppo Economico (MISE) per favorire la creazione di una catena del valore basata sullo sviluppo dell’energia ad idrogeno, di particolare rilevanza per realizzare l’autonomia strategica dell’Europa. 

Si tratta infatti di un progetto che si pone l’obiettivo di contribuire in maniera decisiva allo sviluppo di fonti energetiche alternative necessarie per realizzare la decarbonizzazione delle filiere industriali, a partire da quelle legate alla mobilità.

“In questa sfida che si sta giocando a livello europeo, l’Italia può schierare in campo imprese ed enti di ricerca di eccellenza, con competenze e tecnologie all’avanguardia in grado di raccogliere le opportunità che provengono dallo sviluppo dell’idrogeno oltre a svolgere un ruolo centrale nel percorso di diversificazione energetica che si sta portando avanti”, ha dichiarato il Ministro del MISE.

Al primo IPCEI sull’idrogeno parteciperanno, con l’Italia e le sei aziende, altre 29 imprese europee di 14 Paesi Ue che hanno promosso l’iniziativa:  Austria, Belgio, Rep. Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Spagna.

La Strategia Nazionale Italiana per l’Idrogeno

Il percorso nazionale è ancora molto lungo: oggi grazie all’utilizzo di Idrogeno, si soddisfa circa 1% del fabbisogno finale di Energia in Italia e poco sotto il 2% in Europa. Il potenziale è però notevole e gli obiettivi estremamente ambiziosi. 

L’Italia è sempre stata tra i Paesi capofila nell’assunzione e sottoscrizione di impegni vincolanti in tema di sostenibilità. Senza andare troppo indietro nel tempo, l’Agenda 2030 e l’Accordo di Parigi sul Clima, hanno stabilito una chiara intenzione di contenere il riscaldamento globale ed i rischi connessi al Global Warming (per l’Ambiente, la Società e le Organizzazioni), rimarcati ulteriormente durante COP26.

Attraverso il Green Deal Europeo, sono stati stabiliti obiettivi di medio termine (2030) e di lungo termine (2050), con un apporto sul fabbisogno energetico da parte dell’Idrogeno, che dal 2% circa dovrebbe arrivare al 15%.

L’idrogeno occupa una posizione unica per contribuire agli obiettivi nazionali ambientali e a una produzione più sicura e affidabile di energia, specie se prodotto da fonti energetiche rinnovabili attraverso l’elettrolisi. In particolare, l’idrogeno può giocare un doppio ruolo per il Paese: sul lungo termine, fino al 2050, può supportare lo sforzo di decarbonizzazione insieme ad altre tecnologie a basse emissioni di carbonio. Sul breve termine, fino al 2030, l’idrogeno diventerà progressivamente competitivo in applicazioni selezionate (come chimica, mobilità, raffinazione petrolifera), consentendo lo sviluppo di un ecosistema nazionale dell’idrogeno, necessario per sfruttare appieno il potenziale dell’idrogeno sul lungo periodo.

Per il prossimo decennio, il governo prevede l’applicazione dell’idrogeno nel settore dei trasporti, in particolare mezzi pesanti, nelle ferrovie e nell’industria, con specifico riferimento a quei segmenti in cui l’idrogeno è già impiegato come materia prima, per esempio nel settore della chimica e nella raffinazione petrolifera.

Le “hydrogenvalleys”, ecosistemi che includono sia la produzione che il consumo di idrogeno, potranno inoltre fornire aree per la diffusione dell’idrogeno entro il 2030, portando a una possibile applicazione dell’idrogeno in altri settori.

Vedremo un camion ad idrogeno sulla A1?

Be’, in realtà già ne esistono. In Svizzera alcune decine di unità già sono in circolazione. 

I mezzi pesanti a lunga percorrenza che vediamo sulle nostre autostrade hanno un elevato impatto inquinante, quasi il 10% delle emissioni totali dei mezzi di trasporto.

La normativa si sta evolvendo e per i nuovi mezzi che saranno in commercio entro i prossimi 3-5 anni, si prevede un abbattimento delle emissioni di almeno il 30%.

Questo parametro richiede investimenti importanti in nuovi motori, con concetti evoluti, che prevedono il passaggio dal Diesel ad altre forme (idrogeno, biocarburanti, oppure elettrico).

La scelta non sarà solo dettata da tematiche ambientali, ma anche dal costo totale e da parametri tecnici (come ad esempio i tempi di rifornimento). Oggi non c’è competizione, ma nel giro di breve, a fronte di un calo dei costi per una maggior diffusione della tecnologia, un miglior chilometraggio di percorrenza e tempi rapidi di rifornimento, possiamo pensare all’avvio di un ricambio graduale del parco mezzi.

Pensiamo a quanti operatori privati, aziende, organizzazioni, investitori privati/istituzionali e laboratori di ricerca possono essere “messi in moto” da un progetto di sviluppo. Non si tratta solo di progettare, costruire, assemblare un mezzo: si tratta anche di investimenti in infrastrutture, reti distributive sul territorio, punti di rifornimento, ecc.

Il percorso è lungo

È vero che adottare l’idrogeno verde su larga scala comporta benefici a livello ambientale e che parlare di idrogeno e di un suo utilizzo su vasta scala vuol dire proiettarsi nel futuro, ma come tutti i grandi cambiamenti, non va nascosto che ciò comporta dover affrontare diverse sfide.

La tecnologia che porta all’idrogeno pulito è molto preziosa, ma al momento molto energivora, quindi da maneggiare con cura. La sfida principale sta tutta nel come produrla a costi competitivi. E per vincere questa sfida, ci sono anche elementi economici, politici, tecnologici e di sicurezza che devono essere considerati per lo sviluppo di un ecosistema industriale nazionale per l’idrogeno.

Di conseguenza il tema dovrà essere visto da diverse prospettive, perché il raggiungimento degli obiettivi che l’Italia si è posta al 2030 dipenderà fortemente da alcuni fattori, endogeni ed esogeni.

Fattori endogeni

  • Avere maggiori capacità energetica disponibile da fonti rinnovabili
  • Avere un quadro giuridico-normativo e standard di sicurezza specifici
  • Stabilire meccanismi di incentivazione
  • Dotarsi gradualmente di una rete di distribuzione
  • Finanziare iniziative di ricerca e sviluppo

Fattori esogeni

  • I prezzi delle materie prime
  • L’evoluzione della regolamentazione in materia di emissioni

Il ruolo delle Fonti energetiche rinnovabili

Come primo fattore endogeno fondamentale, occorre avere a disposizione una maggiore capacità energetica disponibile da fonti rinnovabili, che hanno la capacità di accendere il pianeta

Per come stanno le cose oggi, l’idrogeno verde è una prospettiva importante, ma per il 2030 il suo contributo sarà di poco superiore a quello attuale.

La produzione di idrogeno è energivora, andrebbe utilizzata solo in specifici settori. È una risorsa che richiede un aumento imponente della capacità elettrica rinnovabile. L’idrogeno, in altre parole, pone un dilemma per il futuro del sistema energetico, in Italia come in altri Paesi. Finché non avremo grandi surplus di elettricità rinnovabile, cosa che non avverrà prima del 2030, usare l’elettricità per alimentare idrogeno e poi utilizzarlo per alimentare le auto o riscaldare gli edifici è in netto contrasto con l’obiettivo di aumentare l’efficienza energetica entro il 2030.

Se da un lato la ricerca sull’idrogeno e la diffusione delle rinnovabili devono continuare, dall’altro è arrivato il momento – non solo per l’Italia ma per tutta l’Unione Europea – di prendere decisioni politiche sulle priorità, e si deve fare una scelta chiara tra puntare sull’elettrificazione diretta o sull’idrogeno.

Qualunque strada sarà scelta, bisogna avere la consapevolezza che questa transizione non sarà gratis e che occorrerà un imponente aumento della elettricità rinnovabile, in termini di reti e capacità di stoccaggio.

Lo sviluppo dell’idrogeno pulito costituisce un’occasione unica per accelerare la transizione globale verso un’economia a basse emissioni di carbonio e una grande potenzialità per il sistema industriale italiano. Ma lo sviluppo su ampia scala presenta attualmente importanti criticità.

Decisori politici, investitori e gli altri attori coinvolti devono sapersi muovere tra le sfide e le opportunità di un’economia a basse emissioni carboniche, senza cadere nelle trappole e nelle inefficienze del passato

I piani, per quanto a lungo termine, impongono che oggi e non domani, sia il momento delle scelte.

Questa grande sfida può anche essere valutata come opportunità di investimento, sempre con grande consapevolezza dei fattori che incidono sugli investimenti tematici di grande prospettiva, ancorché all’inizio di un lungo percorso che richiede un orizzonte temporale altrettanto adeguato.  

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Le fonti di riferimento prese per l’articolo sono state attinte dal MISE.

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