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Riforma dell’IRPEF: interessa tutti, ma dai numeri sembra un affare per pochi

Matteo Spairani, consulente finanziario

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Come sappiamo, nel 2024 verrà attuata una semplificazione IRPEF, con l’accorpamento di 2 scaglioni in quello ad aliquota inferiore, ossia il 23%. Vediamo nello specifico di cosa si tratta.

Due “Emergenze” che dobbiamo affrontare

La situazione che avremo in ragione di questa modifica, ci restituirà un sistema sempre fondato sulla “progressività”, ma a 3 aliquote rispetto alle 4 attuali:

  • 23% di tassazione per redditi fino a 28.000 euro;
  • 35% di tassazione per redditi oltre i 28.000 euro ed entro i 50.000 euro;
  • 43% di tassazione per redditi oltre i 50.000 euro.

Scompare l’aliquota al 28% e si amplia fino a 8.500 euro la soglia di “no tax area” prevista per i redditi da lavoro dipendente, che viene parificata a quella già vigente per i pensionati.

Saranno poi adottate modifiche al sistema di detrazioni e deduzioni, voci anche queste importanti per definire l’effettivo carico fiscale in capo ai contribuenti.

Già…  i contribuenti…

Un recente studio pubblicato da Itinerari Previdenziali sulle dichiarazioni fiscali del 2022 (redditi 2021) ci consegna dei dati su cui ognuno di noi può riflettere.

I redditi dichiarati nel 2022 ammontano a poco più di 894 miliardi.

Redditi dichiarati dai cittadini

Questa ricchezza generata attraverso il lavoro dei contribuenti (tra poco ne parliamo) ha generato un gettito fiscale di 175 miliardi (brutalmente per grandi numeri il 19,5%) ripartito tra Irpef Ordinaria (157 miliardi), ed Addizionale Regionale e Comunale (per i restanti 18 miliardi).

Nell’anno precedente il gettito era stato di 164 miliardi, ma non dobbiamo farci ingannare da un numero che è risultato in crescita (attenzione, le dichiarazioni del 2021 fanno riferimento ai redditi del 2020, condizionati dallo scoppio della pandemia).

Sono 41,5 milioni, le Persone che nel 2022 hanno presentato la Dichiarazione dei Redditi.

Di questi 41,5 milioni, i “versanti”, ossia coloro che versano almeno 1 euro di tasse, sono 31,3 milioni di Persone (valore più alto dal 2008).

Nella fascia da Zero a 7.500 euro annui lordi di reddito, si collocano 8,8 milioni di persone. Oltre il 21% del totale. E mediamente contribuiscono ciascuno per 26 euro annue a rimpinguare le casse dello Stato.

Tra i 7.500 euro ed i 15.000 euro lordi annui di reddito, si collocano 7,8 milioni di contribuenti, che pagano un’Irpef media di 358 euro.

Queste prime 2 fasce “cubano” abbondantemente meno del 2% dell’Irpef complessiva, ma rappresentano il 40% dei contribuenti.

I contribuenti con redditi superiori a 35mila euro sono il 13,94% del totale e versano il 62,52% delle imposte dei redditi sulle persone fisiche.

Non è mia intenzione in questo articolo ritornare sui soliti temi riguardanti l’evasione fiscale, le storture del mercato del lavoro e tutto quanto ad esso collegato.

Cercasi disperatamente Equilibrio

Se analizziamo le Entrate Contributive rispetto alle Uscite per Prestazioni, possiamo definire un “tasso di copertura”, ossia quanto i contributi versati coprono le spese per prestazioni.

Se volessimo considerare “virtuoso” un tasso di copertura al 75% (che già sarebbe in sbilancio), ben 12 regioni su 20 sono sotto questo valore, alcune drasticamente lontane. Soltanto 2 Regioni sono in un valore di copertura positivo: il Trentino Alto Adige con un tasso appena sopra 102, ossia per 100 euro di spesa per prestazioni erogate, i contribuenti versano 102 euro e la Lombardia intorno a 101,4. Altre 3 regioni riescono a collocarsi sopra il valore di 77 (Veneto, Lazio, Emilia Romagna).

Analisi degli itinerari previdenziali

L’analisi effettuata da Itinerari Previdenziali evidenzia un ulteriore aspetto: esiste una correlazione diretta tra saldi di gestione e tipologia delle prestazioni in erogazione. Dove prevalgono saldi positivi e tassi di copertura intorno al 70% la maggior parte delle prestazioni sono di tipo “previdenziale” e quindi supportate da contributi realmente versati; viceversa, dove i tassi di copertura e i saldi sono fortemente negativi prevalgono prestazioni di tipo “assistenziale”, finanziate dalla fiscalità generale.

La commistione tra Prestazioni Pensionistiche e Prestazioni Assistenziali rimane un problema che penalizza l’intero Sistema.

Restando sul quadro generale, senza soffermarsi ai dati regionali, emergono appunto delle “urgenze”, ulteriormente acuite dal contesto economico e dall’invecchiamento della popolazione.

Sulla base di questi numeri, mi interessa sottolineare quanto sia necessario per una persona approntare delle scelte strategiche in ottica di Copertura Previdenziale e Copertura Sanitaria. 

La via maestra della Previdenza Complementare

Ricordiamo che le attuali generazioni di lavoratori andranno in pensione con il metodo contributivo, basato appunto sui contributi versati durante la vita lavorativa dell’individuo.

Se solo il 13,94% dei contribuenti dichiara redditi lordi almeno pari a 35.000 euro annui, abbiamo qualche problema.

Recentemente il simulatore messo a disposizione dall’INPS, per un nato nel 1993 (30 anni di età), dipendente settore privato, con già 6 anni di lavoro alle spalle, stima l’accesso alla Pensione di Vecchiaia all’età di 70 anni e 2 mesi.

La strada maestra per fare qualcosa di importante per se stessi, resta la previdenza complementare.

Sostanzialmente in Italia abbiamo 3 opzioni che sintetizzano le possibilità di scelta:

1. Fondi Pensione Negoziali

    : sono forme pensionistiche complementari istituite nell’ambito della contrattazione collettiva, nazionale o aziendale. A questa tipologia appartengono anche i fondi pensione cosiddetti territoriali, istituiti cioè in base ad accordi tra rappresentanti di datori di lavoro e lavoratori appartenenti a un determinato territorio.

Quindi diciamo che possono aderire a queste forme, coloro che in ragione di un particolare settore lavorativo di appartenenza, hanno i requisiti per poter sottoscrivere queste soluzioni. Ad esempio, i lavoratori del settore metalmeccanico possono aderire a una forma previdenziale a loro dedicata, così come chi lavora nel settore chimico, alimentare e così via.

Quando l’adesione è di tipo “collettivo”, molto spesso è previsto che il datore di lavoro versi un contributo aggiuntivo nel fondo pensione (intorno al 1,5% della retribuzione del lavoratore), per incentivare a sua volta l’aderente ad effettuare versamenti volontari almeno per la stessa quota, se non oltre.

2. Fondi Pensione Aperti

    1. : sono forme pensionistiche complementari istituite da banche, imprese di assicurazione, società di gestione del risparmio (SGR) e società di intermediazione mobiliare (SIM). I fondi pensione aperti possono raccogliere adesioni su base individuale e collettiva. L’adesione a queste forme è aperta a tutti, senza particolari distinzioni.

3. Piani individuali pensionistici di tipo assicurativo

    1.  (PIP): sono forme pensionistiche complementari istituite dalle imprese di assicurazione. I PIP possono raccogliere adesioni solo su base individuale.

L’utilità di una Assicurazione Sanitaria

I dati sopra elencati ci dicono che i contribuenti che versano almeno 1 euro di Irpef sono 31 milioni. Questo vuol dire che abbiamo 1 contribuente ogni 1,427 abitanti.

Ogni abitante, indipendentemente dal suo contributo alle casse statali, accede poco o tanto a sistemi di welfare e utilizza il servizio sanitario nazionale (qui voglio rimarcare quanto sia importante in termini di conquista, che chiunque, indipendentemente dalla sua condizione sociale, possa accedere a cure in strutture ospedaliere).

Sanità pubblica

Nonostante l’enorme impegno delle tante figure professionali che lavorano nella Sanità Pubblica, dobbiamo sottolineare quanto giornalmente, anche nei sistemi considerati “efficienti” ci siano delle situazioni di criticità.

Secondo molti istituti di ricerca, oltre 7 milioni di italiani, dovendo risolvere un problema di salute, hanno optato per sostenere direttamente le spese e rivolgersi a strutture private.

I motivi di questa scelta sono diversi: tempi di attesa molto più brevi rispetto al pubblico, differenza di prezzo sempre minore rispetto al ticket, migliore accessibilità, assistenza più capillare.

Qui il tema che spesso ritorna e che non si considera pienamente, è la gestione del rischio. Ci sono rischi che non necessariamente dobbiamo sopportare interamente sulle nostre spalle, ma li possiamo “trasferire”, affinché nel momento del reale bisogno, ci sia un soggetto (impresa di assicurazione) che possa intervenire in nostro favore sobbarcandosi i costi economici in parte o totalmente.

Sottoscrivere un’assicurazione sanitaria (che potrebbe anche essere disponibile sotto forma di benefit da parte dell’Azienda per cui si lavora, o in convenzione a tariffe agevolate) permette di “stare più tranquilli” nella sfortunata eventualità di dover ricorrere ad interventi chirurgici e degenze ospedaliere. Sulla base delle coperture e dei massimali previsti dalla polizza che si sceglie, le spese quali ricovero, anestesia, oneri chirurgici e sala operatoria, sono solitamente coperti dall’assicurazione base.

Possiamo assicurare specifici interventi chirurgici, opzionare delle indennità giornaliere, estendendo queste coperture all’intero nucleo familiare.  Non è questione di scarsa fiducia verso il sistema pubblico, ma spesso in caso di necessità, il tempo con cui si affronta il problema fa la differenza.

La considerazione di fondo, che ognuno può approfondire rispetto alla sua personale situazione, ci restituisce un sistema statale in forte squilibrio per effetto di molteplici variabili. In ottica di tutela personale e del proprio nucleo familiare, è necessario “smettere di credere che ci penserà qualcun altro” (Stato) alla nostra previdenza o alla cura della nostra salute. Sono scelte che non possiamo lasciare con una delega in bianco.

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