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Il sistema previdenziale italiano è sostenibile?

Matteo Spairani, consulente finanziario

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Secondo il Global Pension Index 2021 del Mercer CFA Institute, l’Italia ha una situazione critica in tema di sostenibilità.

Il Mercer CFA Institute Global Pension Index 2021 confronta 43 sistemi di reddito pensionistico in tutto il mondo, evidenziando punti di forza e di debolezza.  Mentre il mondo continua a confrontarsi con le implicazioni economiche del conflitto in Ucraina e della pandemia, lo studio in questione analizza i sistemi pensionistici di 43 Paesi, attraverso vari indicatori, definendo una scala di punteggio, associata a 3 macro-aree:

Adeguatezza – “Cosa ottieni dal sistema pensionistico?”

Sostenibilità – “Il sistema può continuare ad erogare?”

Integrità – “È un sistema affidabile?”

Ne emerge una scala di valori che permette di stilare in modo molto analitico una classifica generale e per area dei 43 Paesi analizzati.

Sistemi pensionistici di tutti i Paesi

Il podio

In valore assoluto, raggiungono un punteggio superiore ad 80, solo 3 Paesi con i loro sistemi previdenziali: Islanda, Olanda, Danimarca.

Seguono, nella fascia di punteggio 75-80, altri 3 Paesi: Israele, Norvegia, Australia.

Vi è poi un gruppone di 15 Paesi, accorpando l’area di punteggio che va da 60 a 75 punti. Tra questi troviamo Belgio, Svizzera, Canada, USA, UK, Germania, Francia, Singapore, Nuova Zelanda.

A livello di adeguatezza, i punteggi maggiori sono ottenuti dal sistema previdenziale di Islanda, Olanda e Norvegia.

L’Islanda è anche il primo sistema per sostenibilità, seguita da Danimarca e Olanda.

In termini di integrità ed affidabilità, sono ancora i Paesi Nordici a guidare la classifica: Finlandia, Norvegia e Olanda.

Ora con tutto il rispetto, dall’Islanda possiamo certamente trarre buone prassi su molti aspetti di qualità della vita, ma una Nazione che ha gli stessi abitanti di Bologna, non può essere un modello di confronto attendibile. Quindi cerchiamo di andare più in profondità della situazione.

La situazione Italiana

Be’, il nostro sistema pensionistico si posiziona nella parte bassa di un gruppone di Paesi che totalizzano un punteggio tra 50 e 60. Il sistema italiano per la precisione totalizza 53.4 punti ed è 32’ in classifica su 43 sistemi previdenziali. A farci compagnia intorno a quella dimensione di rating ci sono il Perù, il Brasile, l’Austria, l’Indonesia, la Spagna, la Polonia, il Cile.

Situazione della pensione in Italia

Va però detto che il nostro sistema è 16’ per il sottoindice di adeguatezza e 22’ per integrità, quindi decisamente meglio del 32’ posto generale. Allora che cosa ci zavorra? Cadiamo pesantemente per sostenibilità, che lo ricordo è la capacità nel tempo da parte del sistema di poter continuare a pagare le prestazioni. Il nostro Paese è 43’ su 43 analizzati, ossia ultimo (punti nel sotto-indice di 21.3). Il giudizio complessivo?  “Un sistema che ha alcune buone caratteristiche, ma anche maggiori rischi e carenze che dovrebbero essere affrontati con tempestività. Senza questi interventi la sua efficacia e sostenibilità nel lungo termine, possono essere messi in discussione”.

Quali sono gli aspetti critici evidenziati dal rapporto?

Debito Pubblico elevato, principalmente caricato sulle nuove generazioni.

Spesa pubblica rilevante, per pagamenti delle prestazioni in essere.

Basso tasso di crescita, frammentazione del mercato del lavoro, disoccupazione giovanile, retribuzioni non adeguate, disparità di genere.

Bassa adesione a forme di previdenza complementare.

Cosa ci dice l’ISTAT

La spesa pensionistica in Italia, secondo i dati ISTAT, rappresenta circa il 17% del PIL Nazionale, uno dei valori più alti in tutta l’Eurozona.

Pensione

L’impegno annuo di spesa da parte dello Stato, per garantire le pensioni, supera i 300 miliardi di euro annui. In Italia, Paese che invecchia più velocemente di altri, ci sono 602 pensionati da lavoro ogni 1.000 lavoratori. La proiezione nel lungo termine per un fattore meramente demografico, è destinata a peggiorare. Non stupisce che il tema della sostenibilità del sistema complessivo sia un campanello di allarme.

Nel 2019 in Italia quasi una famiglia su due ha fra i suoi componenti un pensionato.

Dal 2012, data di entrata in vigore dell’ultima riforma, aumenta però il peso di chi paga i contributi rispetto a chi percepisce la pensione. Inoltre, nel 2019 sono 420 mila i percettori di pensione che continuano a lavorare. L’identikit di chi, pur pensionato, lavora ancora è: uomo, settentrionale, lavoratore indipendente, almeno 65 anni d’età.

Le donne, nel complesso, sono oltre la metà di coloro che percepiscono una pensione, ma in termini economici ricevono poco meno del 44% del totale della cifra erogata (qui emerge un gender gap notevole). Questa disparità è in gran parte conseguenza della partecipazione femminile al mondo del lavoro in Italia: un tasso di occupazione inferiore rispetto agli uomini, carriere più brevi e discontinue, salari mediamente più bassi si traducono in assegni pensionistici più modesti. Ma, per effetto della maggiore longevità, le donne percepiscono più del 90 per cento delle pensioni di reversibilità.

Anche a livello territoriale il divario Nord-Sud è evidente. Nel Mezzogiorno, dove sono più diffuse le pensioni assistenziali rispetto a quelle da lavoro, gli importi medi delle pensioni sono più bassi. Così le famiglie di pensionati del Sud e delle Isole hanno un’incidenza del rischio di povertà quasi tre volte superiore a quella delle famiglie di analoga tipologia residenti nel Nord e più che doppia rispetto a quelle del Centro.

Come si affronta il problema di garantirsi un adeguato tasso di sostituzione? Con una presa di coscienza.

I singoli individui sono chiamati a essere sempre più responsabili in prima persona del proprio reddito da pensione, ma devono essere sostenuti e tutelati da normative e da una governance rigorosa.

È anche un passaggio culturale: tipicamente di generazione in generazione ci siamo abituati all’idea che della nostra pensione se ne doveva occupare qualcun altro, ossia l’INPS, cioè lo Stato. Oggi le dinamiche sociali, demografiche e lavorative ci impongono di intervenire in prima persona nei processi di scelta, andando a costruire il nostro pilastro integrativo, che dovrà supportare il pilastro pubblico.

Cosa ci frena ad aderire alla previdenza complementare?

I fattori possono essere molti: certamente la scarsa conoscenza e sensibilizzazione. È un tema che dovrebbe trovare adeguatamente attenzione anche sui posti di lavoro, con dei referenti interni che possano aiutare il neo-assunto ad orientarsi. E maggiore attenzione al tema deve essere veicolata tramite gli operatori del settore finanziario, ponendo la tematica al centro della pianificazione personale di un individuo, come uno degli aspetti centrali.

Orientamento nel mondo del lavoro per i neo assunti

C’è poi un alibi legato alla difficoltà sia di inserimento che di mantenimento di una posizione o ruolo nel mondo del lavoro, tale per cui per un giovane diventa difficile tracciare una sua traiettoria di crescita e carriera professionale. La previdenza complementare viene incontro all’aderente: le forme previdenziali hanno un elevato margine di flessibilità e si possono adattare.

Aggiungiamo un fattore psicologico: siamo tutti schiacciati dalla quotidianità. Gli eventi degli ultimi 2 anni ci hanno portato a vivere intensamente il presente, allargandolo nei sui confini e di fatto il futuro ha perso la sua dimensione temporale, diventando per effetto dell’incertezza cronica in cui siamo caduti, una fase molto più astratta. 

Quando poi le scelte si rivelano anche di difficile elaborazione, per i motivi di cui sopra, si tende a rinviare, a procrastinare le scelte. E così facendo si depotenzia la principale risorsa che porta al successo nella previdenza complementare: il tempo.

Non è un problema di offerta: Fondi Pensione Negoziali, Fondi Pensione Aperti, PIP, forme di risparmio assicurativo e/o finanziario a lungo termine. Gli strumenti per definire e strutturare il proprio percorso decisionale in ottica di previdenza complementare ci sono. E sono vigilati: la COVIP svolge costantemente una funzione di controllo e di comparazione tra le diverse forme, proprio per garantire l’integrità del sistema ed aiutare l’aderente a comparare le varie soluzioni tra loro.

La previdenza complementare non è una cattedrale nel deserto

Per quanto da più parti si sottolinea che i Fondi Pensione (Negoziali o Aperti che siano) non siano totalmente decollati, i numeri attuali ci dicono che ci sono delle basi solide.

Secondo la COVIP, a fine 2021 erano 8,8 milioni i lavoratori aderenti a una o più forme di previdenza complementare (tant’è che le posizioni attive risultavano essere quasi 10 milioni, ad indicare che c’è una quota di aderenti che hanno più di una posizione attiva).

Il sistema (FPN, FPA, PIP) ha raccolto sempre nel 2021 flussi superiori a 13 miliari di euro con un incremento del 7% rispetto al 2020. Al contempo, sempre lo scorso anno sono state erogate prestazioni per circa 8 miliardi a soggetti che avevano titolo per chiedere appunto la prestazione sotto forma di capitale o di rendita.

I PEEP, una svolta europea

Da quest’anno, a seguito di un iter procedurale che è arrivato finalmente a termine, potenziali fornitori (banche, assicurazioni, società d’investimento, gestori di fondi alternativi) possono presentare l’istanza di autorizzazione alla registrazione del prodotto presso la propria autorità competente, al fine di ottenere la registrazione nel Registro Pubblico Centrale da parte di Eiopa e dare avvio alla commercializzazione del Pepp.

Piano pensionistico

Il Pepp è un piano a adesione individuale che prevede la portabilità della posizione in caso di trasferimento della residenza in un altro stato Ue; si potrà quindi continuare ad accumulare contributi nello stesso prodotto senza dover aderire a un fondo pensione nel nuovo paese di residenza. La portabilità sarà resa possibile con l’apertura di sottoconti nazionali in ciascuna posizione individuale. I sottoconti, modellati sulle leggi nazionali, consentiranno all’aderente di beneficiare delle agevolazioni previste per la sottoscrizione del Pepp nel nuovo paese di residenza.

Che sia un Fondo Pensione Negoziale, un Fondo Pensione Aperto, un Piano di Accumulo, una Polizza, oppure un PEEP (di cui attualmente non risultano essercene di registrati in Italia), l’importante è mettere il tema al centro della propria pianificazione e con l’aiuto del proprio consulente finanziario, andare a definire la strategia più corretta.

I vantaggi fiscali, normativi e legali sono ulteriori plus all’obiettivo fondamentale: costruirsi al meglio e per tempo la propria strategia pensionistica.

Vivere più a lungo con un tenore di vita migliore

Viviamo più a lungo e con una qualità di vita migliore. In quella che una volta era chiamata la “terza età”, oggi le persone continuano a viaggiare, a coltivare i propri interessi, a consumare acquistando prodotti e servizi, ad aiutare anche economicamente i figli ed i nipoti. Per vivere al meglio questa fase, occorre che i nostri risparmi (accumulati nel tempo), abbiano la nostra stessa longevità.

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