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Fondi comuni di investimento. Cosa sono e con che criterio sceglierli

Matteo Spairani, consulente finanziario

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Scopriamo cosa sono i fondi comuni d’investimento e quali possono essere i primi essenziali criteri per selezionarli, possibilmente dentro un contesto di strategia complessiva di Portafoglio, in autonomia oppure avvalendosi di un servizio di consulenza finanziaria.

Le società di gestione del risparmio, che istituiscono e gestiscono i Fondi Comuni, uniscono le somme di più risparmiatori creando un unico patrimonio (appunto un “fondo comune”), il quale viene investito in attività finanziarie, come azioni, obbligazioni societarie o titoli di stato, valute, commodities, beni immobiliari (in taluni casi), ecc.  con lo scopo di diversificarlo, all’interno di un mandato di gestione (obiettivi del comparto) che caratterizza le scelte di allocazione del Fondo stesso.

Save money for investment

Questa è indicativamente la definizione di fondi comuni di investimento fornita dalla Consob, ed è sufficiente a darci una visione generale riguardo questa particolare tipologia di investimento. Aggiungiamo anche che i fondi vengono divisi in tante quote unitarie, di identico valore (NAV), così da offrire uguali diritti ai risparmiatori che le sottoscrivono.

Con i fondi comuni si può dunque operare un tipo di investimento diversificato anche con piccole cifre. Il patrimonio viene gestito da uno o più team, professionisti del settore, che possono operare per la stessa Società che ha costituito il fondo, oppure essere esterni ad essa, affidatari appunto di un incarico di gestione per l’intero portafoglio o per porzioni di esso. 

I parametri da utilizzare per valutare quali fondi di investimento scegliere sono davvero molteplici ed hanno valenze oggettive (confronto con la categoria o con il benchmark di riferimento) e soggettive (interesse per un settore specifico, per una strategia, per l’expertise di una specifica Società di Gestione, ecc.). 

Alcuni parametri per scegliere i fondi su cui investire

Partiamo dai costi, che sono presenti in misura differente in ogni Fondo d’investimento. A seconda del comparto e del soggetto collocatore (Banca, Sim, Intermediario online, ecc.) possiamo riscontrare delle commissioni d’ingresso, che incidono direttamente sulle somme investite e sono detratte all’atto della sottoscrizione. Possono variare entro l’1,5%, raramente si riscontrano valori superiori.  Va detto che negli anni il settore si è sempre più mostrato attento a ridurre questi oneri ed oggi è consuetudinario sottoscrivere fondi con azzeramento delle commissioni di sottoscrizione per intervento del collocatore. Idem per le commissioni d’uscita: sui fondi comuni i comparti “a tunnel”, ossia con spese d’uscita entro i primi 3-5 anni, sono di fatto in via d’estinzione. 

I fondi comuni hanno dei costi di gestione: questi sono ricorrenti, indicati nelle schede fondi su base annuale e incidono sul patrimonio del fondo. Sempre per un concetto di equità tra i detentori di quote del fondo, vengono spalmate nel corso dell’anno e sottratte direttamente dalla quotazione del comparto (NAV). In questo modo, trattandosi di strumenti a capitale aperto (tutti i giorni qualcuno investirà e qualcun altro disinvestirà quote del comparto) le spese saranno equamente ripartite tra tutti i detentori in proporzione al tempo di possesso delle quote.

Benchmark

In alcuni casi (anche questa voce di spesa, sempre meno frequente sul mercato), possiamo riscontrare delle commissioni legate al rendimento (performance fee) che vengono applicate in una misura percentuale rispetto all’extra-rendimento che il comparto ottiene rispetto al benchmark di riferimento. Facciamo un esempio molto “scolastico”: per ipotesi potremmo avere che per un Fondo Azionario Italia, il cui benchmark è appunto l’andamento dell’indice borsistico italiano, ogni punto percentuale in più che il comparto ottiene rispetto all’indice (extra-rendimento rispetto al benchmark), si riconosce al sottoscrittore lo 0,80% e la Società si trattiene lo 0,20%.

Perché prestare attenzione ai costi? Perché se le commissioni sono troppo alte avremo nel corso di una tempistica pluriennale, un effetto sulla performance.

Altro aspetto da considerare è quello relativo al benchmark, vale a dire quell’indice tramite cui possiamo valutare l’andamento del fondo rispetto al suo mercato di riferimento. Per i fondi comuni di diritto italiano il benchmark è sempre presente, anche se non tutti i fondi ne hanno uno (esistono categorie particolari a cui non è possibile associare un parametro di riferimento); quando c’è, è opportuno tenerlo nella giusta considerazione, per valutare la capacità del team di gestione.

A questo proposito, la performance è probabilmente il primo dato che tutti guardiamo e forse quello che ha il maggior potere di condizionare una scelta. Parliamo naturalmente della performance passata del fondo, che non rappresenta una certezza matematica, ma che è comunque una qualità significativa per stabilire la potenzialità di un investimento, la sua costanza nella gestione, la possibilità o meno che si assuma rischi eccessivi (che possono portare in taluni casi extra-rendimento e viceversa). Pensiamo ad esempio a un fondo che abbia registrato negli ultimi anni valori sempre al di sopra del benchmark relativo al proprio mercato: è sicuramente un fattore che rappresenta un’indicazione positiva, ma non basta. Tramite anche il supporto del proprio consulente finanziario è opportuno avere riscontro sulle motivazioni che hanno portato a certi tipi di risultati e sono principalmente legati a scelte strategiche o tattiche effettuate dal team di gestione.

Crescita esponenziale del capitale

Questo aspetto qui sopra citato, ci rimanda al concetto di rischio: occorre ricordare che ogni strumento finanziario è caratterizzato da un rischio ed un potenziale rendimento ad esso associato. Tra essi esiste una relazione positiva: maggiore è il rendimento potenziale dell’attività, maggiore sarà il suo rischio e viceversa.

Quindi finora, sinteticamente, abbiamo parlato di costi, di benchmark, di confronto, di performance, di rischio.  Potremmo aggiungere almeno qualche decina di ulteriori criteri di scelta

Il punto sostanziale è che possiamo avere la massima obiettività nelle scelte e avvalerci di strumenti analitici di comparazione, ma le domande a monte che ci dobbiamo porre non sono “quale sarà il settore più promettente nei prossimi 2-3 anni?”, oppure “andrà meglio l’Europa o l’America o l’Asia?”. 

Piuttosto prima di qualsiasi scelta dovremmo chiederci:

  1. Quali sono i miei obiettivi d’investimento e di risparmio?  Tutela famiglia, acquisto casa, studi dei figli, spese importanti, avvio attività per me o per un familiare, previdenza, …
  2. Per ognuno dei miei obiettivi, quanto budget di patrimonio e di risparmio periodico posso dedicare?
  3. Quale livello di rischio sono disposto a tollerare per ognuno di questi obiettivi?
  4. Tra quanto tempo mi serviranno le somme destinate ad ognuno di questi obiettivi?

Se non definiamo una nostra strategia complessiva d’investimento, rischiamo di costruire un Portafoglio non coerente con le nostre aspettative e necessità, frutto della moda del momento, del marketing, o di qualche suggerimento o consiglio generalista che abbiamo letto qua e là.

Il nostro Portafoglio, che è un insieme di scelte, dovrebbe essere costruito rispondendo a quelle 4 domande. La scelta degli strumenti, effettuata con assoluto criterio metodologico, magari anche con il supporto del proprio consulente finanziario, non sarà altro che una parte (fondamentale) del nostro processo d’investimento.

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