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Aumento tassi BCE: un approfondimento

Matteo Spairani, consulente finanziario

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Lo scorso 8 settembre la Banca Centrale Europea, con una decisione all’unanimità, ha proseguito nella strategia di rialzo dei tassi ufficiali (avviata con un primo rialzo di 0,50% a luglio) adottando un maxi-intervento di 75 bp (0,75%), il rialzo più “aggressivo” nella storia della BCE.

Una fotografia del contesto che ha motivato questa scelta

Secondo le analisi a disposizione della Banca Centrale Europea, l’inflazione nell’Eurozona salirà quest’anno al 8,1%, circa 1,3% in più rispetto alle proiezioni macroeconomiche elaborate soltanto lo scorso giugno dagli esperti dell’Eurosistema. E scenderà al 5,5% nel 2023. Anche nel 2024 l’inflazione sarà ancora sopra la media degli ultimi anni: 2,3% quella complessiva. Parliamo sempre di previsioni, sensibilmente mutevoli stante il contesto.

È in questi numeri, in un’inflazione «che seguita a essere di gran lunga troppo elevata ed è probabile che si mantenga su un livello superiore all’obiettivo per un prolungato periodo di tempo», la spiegazione del rialzo di 75 centesimi deciso all’unanimità dai 25 membri del Consiglio direttivo della BCE.

È stata Christine Lagarde stessa a promuovere tre quarti di punto percentuale: «Vogliamo che tutti gli attori economici capiscano una cosa: la Bce fa sul serio», ha affermato determinata la presidente. «Un’azione con determinazione andava presa», ha rimarcato.

Innalzamento tassi di interesse

La finestra di opportunità per alzare i tassi di 75 centesimi, «un’importante misura», va anch’essa vista nelle proiezioni macroeconomiche presentate in Consiglio, che nello scenario base prevedono rallentamento della crescita e stagnazione, ma non recessione (Pil 2022 rivisto al rialzo a +3,1% rispetto al +2,8% di giugno, in virtù di un primo semestre andato meglio del previsto), poi +0,9% nel 2023 e +1,9% nel 2024. La recessione è stata pronosticata solo nello scenario avverso (-0,9% nel 2023 in caso di eventi estremi). 

«Il Consiglio direttivo si attende di aumentare ulteriormente i tassi nelle prossime riunioni», si legge nelle decisioni di politica monetaria. Lagarde ha aggiunto che i rialzi dovranno essere «tempestivi» per arrivare «velocemente» al tasso neutrale, «ma non so questo tasso neutrale dove sia» ha puntualizzato. Tanto più lontana la Bce si troverà dal tasso neutrale, tanto più grandi saranno i rialzi per arrivarci. Ma alle domande dei giornalisti su quando e di quanto la Bce alzerà i tassi, Lagarde ha ripetuto che la Banca decide «sulla base dei dati», «di meeting in meeting». Ha confermato che più rialzi saranno necessari, sbilanciandosi su un orizzonte: per arrivare a centrare l’obiettivo del 2%, «occorreranno diversi meeting, probabilmente più di due, questo incluso, ma meno di cinque, ecco così potete avere un’idea di quanti incontri ci serviranno».

Oggi pertanto il tasso ufficiale nell’Eurozona si attesta al 1,25%, un valore che non si vedeva dal 2011: anno peraltro che rappresenta uno spartiacque storico per l’Unione Monetaria che in quei mesi dovette fronteggiare la crisi del Debito Greco e lo spread a 575 tra Titoli di Stato Tedeschi ed Italiani. Proprio nel novembre di quell’anno un certo Mario Draghi iniziava la sua avventura (termine direi azzeccato considerate le sfide del periodo) alla presidenza della BCE.

Cos’è il Tasso Ufficiale di Sconto e cosa implica la sua modifica

Il TUS è il tasso a cui la BCE concede prestiti alle Banche dell’Eurozona.

Fatta eccezione per alcuni mutui legati direttamente a questo parametro (tutto sommato sono pochi i contratti di mutuo agganciati al tasso Bce), la sua modifica non ha un impatto diretto particolarmente rilevante sui consumatori privati.

Ha però una forte valenza indiretta: questo tasso è per così dire un termometro economico-finanziario che genera l’effetto di riposizionare il mercato del credito, soprattutto i tassi “interbancari”, come ad esempio l’Euribor, il quale è il parametro largamente utilizzato nei contratti di credito a tasso variabile (fidi, prestiti, mutui).

Banca Centrale Europea

L’Euribor è per così dire un tasso “commerciale”: è la media, su varie scadenze, del tasso a cui primarie banche del sistema europeo, prestano denaro ad altre banche.

Il calcolo di questo parametro è abbastanza intuitivo: costituito il panel di Banche che vengono prese a riferimento, queste giornalmente devono comunicare il tasso dei prestiti che applicano sulle varie scadenze agli altri Istituti. Una società specializzata raccoglie i dati e tolte le “code” (il 15% delle rilevazioni sui tassi applicati più alti e sui più bassi vengono scartate) elabora la media e comunica la rilevazione di riferimento per la giornata, a cui tutti gli Operatori fanno riferimento. 

L’effetto dei rialzi BCE sul tasso ufficiale di sconto ha quindi portato l’Euribor a crescere molto rapidamente. Se ai primi di luglio, con il tasso ufficiale di sconto ancora a zero, la rilevazione dell’Euribor 3 mesi (il parametro più utilizzato per i mutui a tasso variabile) era in valore negativo (-0,2%), nei giorni immediatamente successivi al maxi-rialzo di settembre, la rilevazione si attesta al 1,00%. 

Senza nessun allarmismo, è corretto ricordare che un mutuo a tasso variabile è tipicamente un’operazione a lungo, lunghissimo termine (mediamente 20 anni e oltre) e storicamente nel primo decennio degli anni 2000, abbiamo registrato valori  di tassi sopportati dai debitori, ben superiori a quelli attuali.

Certo, l’attuale rialzo fa impressione per la velocità con cui si è concretizzato, considerando che ad inizio anno le rilevazioni dell’Euribor si attestavano quasi a -0,60%

L’effetto è ovviamente un maggior costo dei contratti di finanziamento a tasso variabile che i clienti hanno in essere e un tasso di partenza superiore rispetto ai mesi passati per i nuovi rapporti che si vanno ad instaurare.

Per chi ha un mutuo e ha visto salire sensibilmente la sua rata negli ultimi mesi, è opportuno fissare un appuntamento con il proprio Istituto, verificare le condizioni e le dinamiche che impattano sul tasso (metodo di calcolo) per essere maggiormente consapevoli e poter valutare con la propria Banca se c’è la necessità o l’opportunità di adottare interventi su di esso.

Il nemico pubblico n.1 della BCE: l’inflazione

Sì, la BCE si è “risvegliata” sulla curva dei tassi, per combattere un nemico che fino a poco tempo fa era quasi invisibile, strisciante, lento nella sua azione. Oggi invece dirompente in ogni settore, in cui ci troviamo per necessità o per sfizio ad effettuare un acquisto: l’inflazione

Sfuggente, elusiva, impossibile da imbrigliare. L’alta inflazione è sempre un problema: richiede tempo e spesso impone manovre di raffreddamento dell’economia, richiede quindi grande prudenza.

Inflazione

Oggi è davvero sfuggente: in gran parte è un’inflazione da offerta (e non da domanda, che indicherebbe un’economia in salute per consumi forti), ha spiegato la presidente della Banca centrale europea. L’aumento delle materie prime, dei costi energetici e le difficoltà (vere o presunte) sulle catene di approvvigionamento, impattano per quasi 2/3 della rilevazione inflattiva. Un problema serio, perché la politica monetaria non ha alcun effetto sui prezzi dell’energia, o degli alimentari.

E come si diceva sopra, gli interventi sui tassi alzano costi per chi usufruisce di credito bancario: pensiamo ad esempio ad un’azienda che a fronte di aumenti spropositati delle bollette energetiche, per sostenere tali spese e non fermare la produzione, utilizza credito bancario (con tassi più elevati) per finanziarsi.

Quello che può fare in questa situazione la politica monetaria, è evitare che le aspettative di inflazione diventino troppo alte. 

E l’effetto sul potere d’acquisto? L’inflazione ha un cattivo effetto sulle retribuzioni. Non solo riduce i salari reali, ma lo fa sul principio che “il passato è passato”, e quindi “quel che è perso è perso”. Mantenere basse le aspettative sui salari è difficile. I lavoratori vogliono recuperare, e rapidamente, il potere d’acquisto perduto. Occorre costruire un accompagnamento verso un adeguamento salariale (necessario), senza mettere a rischio la produttività.

Uno sguardo oltreoceano

Le scelte della Bce non possono non orientarsi anche in funzione del contesto e delle politiche che la FED sta adottano negli Stati Uniti.

Il 21 settembre la Banca Centrale Americana è intervenuta anch’essa con un ulteriore rialzo, altrettanto aggressivo (0,75%), portando così il Tasso Ufficiale nel range 3,00% – 3,25% (negli Usa il tasso gode di un corridoio, una forchetta di 0,25%).

Tale livello non veniva raggiunto dal 2008. Si tratta del quinto rialzo dei tassi consecutivo, il terzo di fila da 75 punti base. A marzo, la Banca centrale statunitense aveva annunciato il primo rialzo dei tassi d’interesse (di 25 punti base) dal dicembre 2018.

Il rialzo era previsto, e la diagnosi dello stato dell’economia emersa nel comunicato è rimasta poco variata: soprattutto alta inflazione, bassa disoccupazione, anche se la spesa e la produzione, che a luglio erano considerate solo in indebolimento, appaiono ora in modesta crescita.

Il contesto attuale in cui stiamo vivendo come cittadini, come consumatori e come risparmiatori, è particolarmente complesso. Per ogni confronto che possa essere utile a definire, confermare e monitorare i propri obiettivi, io sono a disposizione.

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